Fermiamo il rimpatrio forzato in Afghanistan, uno stato oggi più insicuro che mai

Fermiamo il rimpatrio forzato in Afghanistan, uno stato oggi più insicuro che mai

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5 febbraio 2018
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Lanciata da MICHELA COSTA

Afghanistan, un paese martoriato da vent’anni di guerra, scosso con frequenza da disastri naturali, abitualmente collocato in fondo a tutte le classifiche per indici di sviluppo umano.

Oltre 250.000 Afghani hanno lasciato il paese nel 2015/2016, mentre nel 2017 sono stati circa 360.000 i profughi interni e più di 8.000 i civili uccisi.

Nelle prime settimane del 2018 il paese è stato teatro di violenze e attentati che hanno provocato centinaia di vittime sia nella capitale Kabul che in altre province.

Gran parte delle organizzazioni umanitarie hanno sospeso una dopo l’altra le attività nel paese che ha registrato nel 2016 il secondo numero più alto al mondo di attacchi al personale internazionale :

  • Medici Senza Frontiere, dopo il bombardamento aereo dell’ospedale di Kunduz;
  • World Food Programme, dopo l’attacco a cinque dei suoi convogli nella tranquilla provincia nordorientale di Badakhshan;
  • Croce Rossa Internazionale, in seguito all’aggressione del suo personale nella provincia settentrionale di Jowzjan;
  • Save the Children,  presente in Afghanistan dal 1976, dopo il recente attacco dinamitardo che ha polverizzato la sede operativa di Jalalabad.

Le stesse rappresentanze diplomatiche hanno sostanzialmente assottigliato la loro presenza in quello che viene ormai considerato uno degli stati più pericolosi al mondo.

Un recente rapporto della BBC rivela che il governo afghano controlla meno del 30% del paese e che 15 milioni di civili sono abbandonati in aree dove i Talebani controllano il territorio oppure vi operano liberamente.

Nessun luogo è sicuro nel paese a causa delle condizioni precarie e imprevedibili del conflitto, tuttavia alcuni stati continuano ad effettuare il rimpatrio "volontario" o forzato di rifugiati afghani.

Fra questi alcuni stati europei, Germania, Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia, Austria, Regno Unito, Francia, Belgio e Paesi Bassi.

I rientri in patria avvengono nell’ambito del Joint Way Forward, accordo quadro fra Afghanistan e Unione Europea siglato nell’ottobre 2016, o di accordi bilaterali basati sullo scambio rimpatri/aiuti allo sviluppo.

Amnesty International ha sollecitato le nazioni europee a interrompere la deportazione di cittadini afghani. “I rifugiati afghani sono forzatamente reinviati al loro paese di origine in condizioni di pericolo di vita”, scrive nel rapporto pubblicato ad ottobre 2017.

Anche Oxfam, dopo una recente ricerca sul campo, respinge l'idea che vi siano luoghi sicuri nel paese e considera "irresponsabile continuare i rimpatri forzati".

Infine, secondo l’indagine effettuata da Norwegian Refugee Council su oltre 2500 famiglie, tre quarti di coloro che sono stati rimpatriati non hanno potuto rientrare nelle proprie case a causa dell'intensificarsi del conflitto. Semplicemente, il 72% di loro è nuovamente fuggito dal paese.                                                  

Per tutte queste ragioni CHIEDIAMO AI GOVERNI EUROPEI DI INTERROMPERE SUBITO IL RIMPATRIO FORZATO DEI CITTADINI AFGHANI E DI CONCEDERE ASILO A TUTTI QUELLI GIA' PRESENTI IN EUROPA.

 

Approfondimenti al seguente indirizzo 

https://reliefweb.int/report/afghanistan/afghan-paradox-chaos-and-violence-safe-returns-europe

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